Uno potrebbe pensare che per la mia indole polemica e incline a scandagliare nel dettaglio, senza sosta e con un certo perverso piacere tutto quanto c’è di marcio nel mondo per distruggerlo e rimpiazzarlo con qualcos’altro di utopisticamente meno schifoso io e le distopie siamo fatti l’una per le altre: e invece. Non mi sono (quasi) mai trovata bene con i distopici, perché in realtà non sopporto benissimo gli scenari poco concreti e le costruzioni esageratamente apocalittiche di mondi in cui siamo diventati sirene androidi per adattarci al surriscaldamento globale e all’avanzamento tecnologico, o in cui i governi hanno “abolito le emozioni” e proibito ogni traccia di umano sentire, o altre esasperazioni un tantino melodrammatiche. Li trovo sterilmente critici, uno va benissimo che sia polemico ci mancherebbe ma con atteggiamento costruttivo, diamine, alternative vogliamo! se no il rischio di risultare come que* vecchi* che “si stava meglio ai miei tempi che non c’era la tecnologia e dovevamo scalare l’Everest sotto le tempeste di neve e fuoco mandato da Zeus per andare a scuola, dove ci seviziavano con lo Strozzatoio di “Matilda” d Dahl, ah bei tempi!” è dietro l’angolo.
Ci sono alcune eccezioni, comunque, di libri distopici che mi sono piaciuti, anche molto, nonostante la mia poca propensione ad accettarne contraddizioni e gonfiature, e 1984 è uno di questi. Più o meno, ora non ci allarghiamo.
Non sono certa che Orwell aspettasse trepidante che sabrina (io) approvasse o meno il suo romanzo, quindi evito di dire che secondo me è scritto molto bene, ben costruito ed è socio-politicamente assai importante: mi limito ad esprimere il mio umile parere personale. Non è tutto questo gran capolavoro letterario, come tutto ciò che è prodotto da mani mortali ha vari difetti, ma anche molti pregi. Ora vi dico.
To begin with, la trama, brevemente. 1984 è l’anno in cui è ambientato il racconto: dopo la seconda guerra mondiale è scoppiata una guerra atomica che ha portato il mondo intero a dividersi in tre macro-governi, tutti in regime dittatoriale e in costante lotta tra loro – l’Oceania, l’Estasia e l’Eurasia. In Oceania, che corrisponde più o meno a tutti gli attuali paesi che parlano inglese (Americhe, UK, Australia, Irlanda), il governo totalitario è in mano ad un unico partito di stampo socialista, a capo del quale c’è il Grande Fratello: un dittatore-idolo, da tutti amato e onorato, che non compare mai in pubblico e di cui si conosce soltanto il viso stampato su soldi e manifesti. La popolazione è costantemente spiata da teleschermi posti ovunque e in funzione 24/7 e dalla Psicopolizia; sebbene non ci siano leggi scritte e quindi niente è propriamente illegale, qualsiasi attività o pensiero non in linea con le idee del regime è passibile di accusa di “psicoreato”, e quindi punito in base all’entità del reato e all’identità, posizione sociale eccetera di chi l’ha commesso, con i lavori forzati o la tortura e seguente pena capitale.
Il nostro protagonista è Winston Smith, un uomo in apparenza piegato al regime, ottimo lavoratore e cittadino modello, in realtà nemico del Partito: insieme ad un’altra dissidente, Julia, cercherà di combattere e ribellarsi al Sistema, convinto fin nel midollo che anche il Grande Fratello può essere sconfitto. Riuscirà nel suo intento, o finirà piegato, succube dell’invincibile Alfonso Signorini Grande Fratello? Chi può dirlo.
Se però l’obiettivo non era la sopravvivenza, ma la conservazione della propria sostanza umana, che importanza aveva tutto ciò? Non potevano cambiare i sentimenti. Anzi, neppure voi potevate cambiarli, neanche volendo. Potevano portare allo scoperto, fino all’ultimo dettaglio, tutto ciò che avevate detto, fatto o pensato, ma ciò che giaceva in fondo al cuore e che seguiva percorsi sconosciuti anche a voi stessi, restava inespugnabile.
Lo stile, che mi aspettavo pesante e molto costruito, in realtà è piacevole e scorrevolissimo; il world-building è spettacolare, curato nei minimi particolari e costruito senza falle, senza contraddizioni o insensatezze, e proprio per questo l’intera storia è profondamente angosciante e opprimente. Nonostante fatico ancora a credere che possa mai accadere una cosa simile nella realtà, nella finzione letteraria non soltanto funziona ma pare più che plausibile, reale: la narrazione è in terza persona ma alterna in maniera massiccia e subdola il pensiero e il vissuto di Winston di modo che non ci sia possibile discernere tra verità oggettiva e la soggettività del protagonista: ci immedesimiamo in lui e viviamo come se fossimo lui, sentendoci quindi costantemente spiati, osservati, terrorizzati e, soprattutto, impotenti, in balia della disperata sensazione di essere soli contro un mostro invincibile e una totalità di persone addormentate, indifferenti, omertose o troppo fiacche: “ciò che veramente caratterizzava la vita moderna”, pensa Winston ad un certo punto del romanzo, “non era tanto la sua crudeltà, né il generale senso d’insicurezza che si avvertiva, quanto quel vuoto, quell’apatia incolore.”
L’invenzione del “bi-pensiero”, della “neolingua” (una lingua semplificata al massimo per non concepire più concetti astratti, inutili o pericolosi al regime come “libertà” o “prigionia”, “tortura”), l’assenza di nemici interni (unici nemici del partito sono nemici esterni, come le altre superpotenze o le sette di dissidenti) e la narrazione sempre positiva e familiare usata dal Partito sono tutti aspetti che ho ritrovato dalla lettura di volumi sui totalitarismi passati e presenti (come Il Fascismo Eterno di Eco) e che confermano l’attualità del romanzo. Orwell trasmette magistralmente il senso di confusione e insicurezza del vivere in un mondo in cui tutto è perennemente messo in discussione, persino le leggi della fisica, della matematica, la storia, il tuo stesso pensiero allenato a concepire un’evidente bugia come inappuntabile verità, se richiesto dal regime; il senso di paura perenne creato dal linguaggio usato dal Grande Fratello, dall’assenza di una tregua, uno sfogo, una persona di cui potersi fidare o un luogo in cui sentirsi al sicuro. Il finale è potentissimo, e d’altronde tutta la terza parte del romanzo è di una forza assurda, una vorticosa, inguaribile caduta verso l’unico finale possibile, eppure presentato senza che la narrazione cada mai nel facile errore di renderlo prevedibile e banale.
Il punto, però, è arrivarci, alla terza potentissima bellissima parte: la prima parte inizia bene, parte con il world-building, la descrizione di Winston, dei personaggi, dei Ministeri, i luoghi e la storia, parte già con la critica sociale e tutta la parte più interessante. Poi si ingolfa, si ferma e arranca faticosissimamente fino al colpo di scena finale, che apre la seconda sezione che è di una noia e una pesantezza allucinanti. Si trascina per decisamente troppe pagine, è lunghissima e succedono tipo due cose: il resto è un’estenuante ripetizione di cose già dette, già affrontate e francamente inutili, oppure lunghi spiegoni a caso, non richiesti e non necessari. Tipo quel crudele, inaccettabile colpo basso, il capitolo sul manuale di Goldstein: un infodump che caso mai poteva essere utile come appendice, formato da pagine e pagine e pagine che riportano parola per parola interi capitoli del libro del ribelle Goldstein su robe di economia, politica, storia, capitalismo e rivolta delle masse- insomma cose già dette, ma scritta stavolta in una lingua comprensibile a tre persone sulla Terra. Insomma, da metà della prima parte in poi fino al capitolo finale il romanzo è un continuo annaspare controcorrente, una pesantezza che onestamente non ci meritavamo.
Nemmeno la costruzione dei personaggi mi ha fatto impazzire, devo essere sincera. Li ho trovati spesso poco consistenti, caratterizzati da tratti inconciliabili tra di loro (“innamorati e incapaci di amare” o “inaffidabili ma onesti”) e lo stesso protagonista, nonostante ne vengano approfonditi nei dettaglio idee, pensieri e la storia di vita, a ben vedere è poco più che una bozza. Questo vale per tutti i (pochi) personaggi, ma senz’altro quello più stilizzato e impersonale è (indovinate) Julia: lo sguardo maschile c’è e ce n’è tanto, in diversi punti la misoginia del narratore (non di Winston) è ammessa candidamente, in altri è più sottile e l’intera costruzione del personaggio di Julia è la realizzazione pedissequa del buon vecchio trope “Men writing Women”.
Tirando le somme mi è piaciuto, è una lettura di indiscutibile valore letterario e sociale, politico, più che mai oggi che stiamo iniziando a renderci conto a nostre spese che nessuna libertà acquisita è acquisita per sempre (ciao Giorgia Meloni e maggioranza al governo sì parlo di voi). É però una lettura che consiglio di affrontare con consapevolezza e con spirito critico, senza paura di trovarvi difetti e incongruenze perché “é Orwell, è un classico, è intoccabile” (e soprattutto dando un occhio ai TW, a me avrebbe fatto decisamente comodo saperli in anticipo!).
Ciao cari e care, grazie d’avermi letto, io vi aspetto alla prossima! Vi lascio link al sito Genius che spiega i riferimenti alla canzone di Bowie e al post che feci sulla canzone di Bowie We Are The Dead su instagram (vi ricordo che ci sono spoiler).
sabrina
Anche a me le distopie mettono in allerta: il rischio di ottenere qualcosa di semplicione è forte, quindi o il world building è qualcosa di superlativo oppure la presenza di una distopia è solo lo sfondo per una avventura molto entusiasmante. Perché sennò è il solito cliché del “c’è il governo cattivo (perché?), gnegne, amiamo la libertà, ribelliamoci!”. 🤣 Avevo iniziato “1984” moltissimi anni fa e mi aveva annoiato molto, ma un giorno vorrei riprenderlo, credo lo meriti.
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Eh, esatto, secondo me è difficile scriverli bene e in modo che la critica sociale abbia senso e non sia la solita lamentela buttata lì a caso. 1984 ci riesce bene, però capisco perché ti abbia annoiato: merita tantissimo e anche la storia è molto bella però ci vuole una pazienza assurda perché scorrevole non lo è di certo 😅
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Julia per me è l’unica debolezza di un romanzo che fa una riflessione politica invidiabile. Anche se poi alcune cose sono state lette dai complottisti per il verso decisamente sbagliato. Comunque bella recensione. La scena in cui Julia e Wiston si incontrano senza amarsi più, è una delle scene più belle della storia della letteratura secondo me
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Grazie davvero! Si, quella scena è rimasta impressa anche a me, è davvero bella e piena di significato.
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Sotto il castagno chissà perché io ti ho venduto e tu hai venduto me
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Un grande classico che ho iniziato non so quanti anni fa e non ho mai finito. Ho sempre dato la colpa al formato di lettura (gli e-book non mi piacciono particolarmente), perché si ha sempre paura di dire di un colosso della letteratura “Mi annoia da morire”, cosa che peraltro mi succede spesso ultimamente.
La tua recensione, però, ha aperto un piccolo barlume di speranza per riprenderlo e finirlo 😛
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Eheh ti capisco, anch’io trovo scomodissimo il formato digitale, e 1984 è un libro che in diversi punti annoia decisamente a morte 😅 Vale la pena però, ha molto da offrire e una volta preso il ritmo scorre abbastanza bene.
Sono contenta di averti confortato però! 😁
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Spero di non addormentarmi in quel frangente allora XD Grazie per averci avvisato 😛
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Mi ero ripromessa di rileggerlo (in inglese, visto che posso farlo e che qui la lingua conta molto) perché la prima volta che l’ho letto non penso di avergli reso giustizia. Prima o poi lo farò davvero, giurin giurello.
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Terrò d’occhio il tuo blog allora caso mai dovesse comparirvi un George Orwell 👀
Hai ragione sul leggerlo in lingua originale, la mia edizione era piena di note che spiegavano le scelte del traduttore.
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1984 è sicuramente un capolavoro, un’opera fondamentale, non soltanto per la potenza critica, ma soprattutto perché Orwell ha saputo creare un mondo, una lingua, e perché alcune figure e scene sono diventate emblematiche. Tutti i capolavori hanno parti meno riuscite, perché lo scopo dell’autore non è quello di creare un’opera piacevole o perfettamente congegnata. Se penso ai grandi capolavori della letteratura mondiale, hanno tutti delle parti noiose, dei lunghi discorsi prolissi etc: da Guerra e pace, alle opere di Dosotoevskij, al nostro Manzoni. Ma sono opere che lasciano un segno, che dicono qualcosa di importante, e che restano indimenticabili nel cuore.
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Mi trovo d’accordo praticamente su tutto. Un tempo neanche io capivo molto le distopie, volevo leggere di speranza e possibilità di un futuro migliore, non angosciarmi ancora di più! Però il loro compito è proprio quello di metterci in guardia contro i pericoli a cui andiamo incontro e che potrebbero spazzare via, nella realtà, il lieto fine. “1984” è sicuramente uno dei capisaldi del genere, Orwell sapeva quello che faceva. I capitoli del libro di Goldstein… ricordo anche io la fatica 😂 Vero che non ce li meritavano. Però non credo sia una divagazione tanto per, è studiata troppo bene, anche a livello di scrittura, perché potesse essere rimossa o piazzata da un’altra parte.
Il pezzo più inutile che io ricordo sempre di aver mai letto è stato la descrizione delle fognature di Parigi ne “I miserabili”. Quello sì che mi aveva traumatizzato…
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😂 io non ho letto niente di Hugo ma mi hanno accennato della sua tendenza a perdersi in descrizioni alquanto lunghe sull’architettura di Parigi!
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