Il primo romanzo di Laura Pugno, pubblicato nel 2007 e recentemente ripubblicato dalla Marsilio Editore, è un racconto breve e feroce che ha ben poco del candore e dell’ingenuità delle fiabe di sirene a cui siamo abituati. “Sirene” è un distopico di denuncia che fonde insieme speculazione fantascientifica, elementi fantasy e una spietata, furente doppia critica di stampo ecologista da un lato, e femminista dall’altro.
Non immaginatevi un pianeta Terra post-apocalittico, totalmente distrutto e già inabitabile: il mondo immaginato da Laura Pugno è ancora fin troppo simile al nostro perché si possa dire che il peggio è passato. L’apocalisse ancora non è arrivata, ma siamo sulla buona strada: in un tempo non specificato e in luogo che forse è il Giappone (ma forse no), il genere umano sembra sull’orlo dell’estinzione, mangiato dal Sole i cui raggi, non più schermati dallo strato di ozono, sono diventati mortali.
La vita sembra possibile soltanto sott’acqua, dove la luce del sole non arriva e dove sono già sorte le prime città subacquee, abitate prevalentemente da chi è ricco abbastanza da permetterselo. Tutti gli altri abitano in bunker schermati, evitando il più possibile di esporsi alla luce e proteggendosi con creme comprate sottobanco.
In tutto questo, i governi dei vari Paesi hanno già da tempo ceduto al caos, non più in grado di mantenere la stabilità e l’ordine mondiale, e il potere è ormai nelle ufficiose, sordide mani della yakuza, la mafia giapponese.
Nel frattempo, come adattamento naturale al nuovo clima terrestre, iniziano a comparire nuove specie animali: le sirene. Non passa molto tempo prima che l’uomo decida di impadronirsi della nuova, succulenta scoperta: fa quindi estinguere gli esemplari presenti in natura e apre, parallelamente, allevamenti intensivi (e formalmente illegali) di sirene. In uno di questi allevamenti lavora Samuel, giovane quanto insopportabile protagonista del romanzo, che durante uno dei solitari e mal sorvegliati turni di lavoro, decide di tentare una roulette russa pericolosa: accoppiarsi con una sirena in pieno estro, scampando per poco all’istinto naturale di lei di sbranare il maschio subito dopo l’accoppiamento. All’unione intraspecie succederanno conseguenze inquietanti, insieme mostruosamente disturbanti e fiduciose, perché in esse potrebbe nascondersi la speranza di sopravvivenza del genere umano.

Premessa doverosa: le sirene della Pugno non sono le creature che siamo abituati ad immaginarci. Non sono per metà donne e per metà animali d’acqua, sono veri e propri animali: hanno sì il busto simile a quello delle donne della specie umana, ma il colorito della pelle (verde, azzurra, talvolta bianco-argento), il viso (che ricorda un muso bovino, più che umano) e la voce (che non è affatto un canto melodioso e armonico, ma uno stridìo di foca, o di gabbiano) non le rendono che altro da noi.
Nei maschi di sirena l’appartenenza ad un’altra specie rispetto a quella umana è ancora più evidente, dato che gli esemplari maschi sono dei dugonghi di piccole dimensioni. Niente viso o busto umano, niente braccia, niente capelli.
La carne dei maschi è velenosa per l’uomo, per cui questi, considerati inutili, vengono tenuti in vita fino all’accoppiamento e poi ne vengono smaltite le carcasse in mare; le femmine, invece, hanno una carne che non solo non è tossica ma è anche deliziosa. “Carne di mare” è un termine che torna di continuo: la riflessione ecologista qui non è poi tanto nascosta, e nel leggere dei collari, dei guinzagli elettrificati, dei farmaci somministrati per “tenerle buone”, dei marchi a fuoco apposti sulla schiena, delle sirene legate alle pareti delle vasche cogliere l’analogia tra lo sfruttamento barbaro e inumano delle sirene e quello, a noi più vicino, di animali da macello non è difficile.
Eppure Laura Pugno, partendo dal tema ambientalista, crea un interessante parallelismo: le sirene femmine, infatti, in virtù delle loro sembianze quasi umane vengono utilizzate come carne, ma anche per altri scopi. Inizialmente venivano imbalsamate ed esposte nei salotti come oggetti d’arredo, oppure tenute nelle piscine delle ville come pesci rari in un acquario. Poi iniziano a nascere bordelli di “carne di mare”. Oggetti prima, schiave sessuali poi.
Le sirene in quanto fisicamente metà animali e metà donne si prestano perfettamente a rappresentare sia l’una che l’altra parte, di modo che sia evidente, per il lettore, che le “docili vacche” non siano solo gli animali-sirena ma anche le donne umane: il trattamento barbaro riservato agli animali da allevamento è lo stesso che viene poi diretto alle donne. Carne l’una, carne l’altra.
Per tutto il libro, i personaggi (maschili e quelli femminili) tengono lo stesso, identico atteggiamento verso le donne del genere umano e verso le femmine di sirena: i maschi non vengono sessualizzati perché per loro è importante altro, non l’aspetto fisico ma le prestazioni, la forza e la funzionalità sessuale, mentre le femmine vengono regalate, marchiate a fuoco sulla schiena per reclamarne la proprietà, tatuate contro la loro volontà da uomini che credono di poter dipingere, disegnare, usare quel corpo come fosse loro.
Samuel stesso, il protagonista, è ben lontano dall’essere il tipico eroe delle distopie e dei fantasy: Samuel, esattamente come “i cattivi”, non fa distinzioni di specie e vede tanto le sirene quanto le donne come oggetti da avere, e da buttare via una volta sazi.
Li aveva sentiti parlare delle sirene come speranza del mondo. Ogni volta che sentiva quella frase fatta, Samuel pensava al sapore del vitello di sirena. Sapeva già, sapeva per istinto, che il mondo non poteva essere salvato.
(pag. 35)
Tramite Samuel, di cui seguiamo il punto di vista, ci appare chiara una cosa: sebbene lui sia “il ribelle”, colui che va contro il sistema marcio, che non sta dalla parte della yakuza, commette ugualmente azioni deprecabili tanto quanto i villains veri e propri— e questo perché la violenza verso le “femmine” nasce sì da un tentativo (lo vediamo nella primissima scena del libro, non è spoiler) di alleviare un lutto doloroso, ma anche, soprattutto, da un contesto culturale in cui è radicata nel profondo la logica dello sfruttamento e il non riconoscimento dell’Altro, specie quando ritenuto, per un motivo o per l’altro, inferiore.
Eppure, in una tragica beffa del destino, il finale ci lascia forse intravedere il barlume fioco di una possibilità di salvezza dell’umanità che potrebbe risiedere proprio in quella stessa natura, in quello stesso genere così poco rispettato. (nemmeno questo è spoiler perché sta scritto nella sinossi sul retro della copertina)
Edizione di riferimento: Marsilio Editore, 2017 (prima pubblicazione 2007). 144 pagine.
sabrina
[…] più e altri di meno: il primo che mi viene in mente è Sirene di Laura Pugno (di cui vi ho parlato qua), un altro è Cuore di Cane di Bulgakov, che ho trovato […]
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