Ennesimo incontro adolescenziale, nel cui titolo mi sono imbattuta al liceo grazie ad un’amica e compagna di classe che espresse opinioni molto positive su questo libro. Mi raccontò a grandi linee la trama e sebbene mi interessò molto, non lo lessi fino a 4 o 5 anni dopo.
L’ambientazione è quella di una società in cui la tecnologia è progredita a dismisura fino ad occupare in modo quasi ingombrante la vita delle persone, in ogni suo angolo. Dico quasi perché è ingombrante, ma nessuno la percepisce come tale: esattamente come succede oggi con Alexa che ti programma la vita e Facebook che ti ruba i dati. Ci sono, ma nessuno se ne accorge più di tanto. In questo contesto avanzato e disturbante l’elemento di novità rispetto ad altre distopie è rappresentato dai libri, e in particolare, dal pericolo che questi sembrano rappresentare per lo Stato: e qui entra in gioco il nostro protagonista, il pompiere Montag, che per lavoro brucia le case dei dissidenti trovati in possesso illecito di libri.
Montag, che lavora come pompiere per tradizione di famiglia, inizia tuttavia a dubitare della pericolosità dei libri e a provare curiosità per questi oggetti proibiti e pericolosi: seguendo la rischiosa fascinazione del pompiere, giungiamo pian piano a scoprire il marcio di questa società, comoda e brillante solo in apparenza.

Partiamo dal presupposto che l’odio innato in me verso i distopici mi ha impedito di farmi piacere Farehneit 451: odio i distopici e la fantascienza, limite mio, li odio e non li sopporto, li trovo inefficaci e trovo l’esagerazione che li caratterizza molto poco credibile. C’è da dire, però, che la visione della tecnologia di Bardbury, che ha un’opinione negativa e allarmata su questa, si adatta perfettamente all’epoca in cui è stato scritto il libro, anni in cui la tecnologia stava prendendo piede in modo sempre più pregnante e invadendo qualsiasi area della vita con le sue comodità facili e veloci: ha senso, quindi, spaventarsene e voler porvi l’attenzione.
A non avermi convinto sono soprattutto i personaggi. La moglie del protagonista, ad esempio, è una donna perfettamente integrata nel sistema: la pensa come tutti, ha sempre le cuffie della radio alle orecchie e quando non le ha è davanti al televisore. È un personaggio interessante, o lo sarebbe se fosse approfondito, perché l’impressione che ho avuto è che fosse “solo” questo, un personaggio integrato nel sistema e null’altro, piatto e grigio: ad un certo punto, Montag torna a casa e la trova collassata per aver preso una dose eccessiva di barbiturici, ma l’episodio cade nel vuoto. Viene curata e tanti saluti. Non viene approfondito, non ci sono nemmeno vaghi rimandi al motivo per cui potrebbe averlo fatto o se è stato un incidente o un tentativo di suicidio, niente. Torna “felice” come sempre per tutto il libro, cosa che ti fa dubitare dell’importanza della cosa…potevamo evitarlo, l’episodio?, ti chiedi.
Mi è piaciuto, però, il rapporto di coppia (inesistente) tra Montag e la moglie: praticamente non si parlano, ognuno assorto nella sua tecnologia, un po’ come quelle coppie o gruppi di amici seduti al bar con un aperitivo davanti, tutti su Facebook per conto proprio. I discorsi tra i due sono inconsistenti e brevi, senza spessore, faticosi come se i due non si conoscessero davvero. L’ho trovato interessante, soprattutto perché contrapposto a quello che Clarisse, una ragazzina che Montag incontra una sera tornando a casa dal lavoro, ha con la sua famiglia, molto più umano, incontaminato dalla tecnologia.
Il capo di Montag è il tipico nemico della situazione, con il cervello lavato dalla propaganda del sistema e perfettamente omologabile a qualunque altro funzionario integrato: l’ho trovato un po’ troppo stereotipato, poco originale, eppure non è totalmente inutile dato che è curiosamente proprio lui che ci offre uno spunto interessante su cui riflettere quando racconta a Montag la storia di come si è giunti a bannare i libri. Al di là del motivo per cui i libri sono stati resi illegali, quello che è interessante è scoprire che, ad un certo punto della storia dell’umanità, la tecnologia sempre più progredita e avanzata aveva reso la vita degli uomini tanto comoda che questi avevano “disimparato” le capacità di attenzione e concentrazione e di pensiero: leggere i libri era diventato troppo faticoso.
” Un libro è una pistola carica.”
(Ray Bradbury, Farenheit 451)
Oggi i social sono talmente diffusi che l’umana spinta a cercare storie e raccontarle si esplica on line, non più sui libri. Si pubblicano foto e video di se stessi, si parla davanti ad una telecamera nelle proprie intime quattro mura, ed è questo il nuovo modo di condividere storie; ci si connette, si guardano video di persone che raccontano storie ovunque, a volte ignorando il resto, cioè la vita vera fuori dallo schermo, ed è questo il nuovo modo di sentire storie. Si è persa rispetto al passato la passione per i libri, perché non c’è interesse a leggere: esistono metodi meno faticosi e più immediati, e anche più “vicini” alla propria realtà per soddisfare il desiderio di storie: è normale sentirsi più vicini a FaviJ che a Madame Bovary, dopotutto.
Le riflessioni che emergono rimangono attuali, sensate e azzeccate, raccontate in uno stile semplice e abbordabile: l’ho definito anonimo e impersonale e lo sarebbe se paragonato ad Orwell, ma è evidente che Bradbury non volesse un libro che in pochi potevano capire sul serio, ma qualcosa di ben più accessibile a chiunque, soprattutto a giovani e ragazzi.
Edizione di riferimento: Mondadori (collana Oscar Junior), 2017. Tradotto da Giuseppe Lippi.
sabrina
[…] fino a tutti altri numerosi argomenti sempre attuali che Bradbury tocca (Ti interessa questa mia recensione? Se hai paura degli spoiler, puoi tornarci a lettura ultimata e lasciarmi il tuo […]
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Orwell ci ha regalato un capolavoro immortale come 1984, ma per me il miglior romanzo di fantascienza di tutti i tempi rimarrà sempre questo: https://wwayne.wordpress.com/2021/05/01/scopriro-la-verita/. L’hai letto?
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